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sul Reddito di Cittadinanza

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Parte l'avventura della Banca  etica

Cambia non soltanto il lavoro, cambia la vita. E la sinistra tarda a capirlo

Quale Europa?  

L'Euro : il grande inganno

Giu '98 Reddito Minimo Universale o elemosina per alcuni poveri ?

Apr '98 "Disoccupati di tutto il mondo … "

Mar '98 Gli orrori della globalizzazione

Feb '98 Cobas dappertutto ?!?

Gen '98 35 ore di Lavoro sono ancora troppe!

 

 

 

Reddito Minimo Universale o elemosina per alcuni poveri ?

 

In questi ultimi giorni l'Italia cerca di darsi il tono di nazione solidale stanziando qualche manciata di miliardi da destinare ad alcuni Comuni per sperimentare la forma di assistenza economica denominata Reddito Minimo di Inserimento già esistente in molti paesi d'Europa in varie forme.

Qui in Italia la quota sembra ammontare a sole £ 500.000 e in taluni casi può variare se esistono condizioni familiari più gravi come figli piccoli a carico o disagi come handicap o invalidità.

Il Partito Umanista, ricordiamo, propone il Reddito minimo garantito per tutti.

 

Intanto riportiamo alcuni stralci tratti da un articolo di Le Monde Diplomatique per farci un po' un idea:

"Le nuove strade che portano alla rivoluzione del lavoro" 

Il disastro della disoccupazione massiccia con il moltiplicarsi dei posti di lavoro precari, l'aggravarsi delle disuguaglianze e la crescente instabilità delle famiglie, minaccia la coesione stessa della società.

Vengono così avanti da più parti le proposte di un reddito di base incondizionato, nominato a seconda dei casi in modi diversi come: Reddito Universale, Reddito d'esistenza, Reddito di cittadinanza.

Secondo queste proposte l'assegno dovrebbe essere versato ad ogni individuo fin dalla sua nascita, senza alcuna condizione di status familiare o professionale, in base al principio del diritto a un minimo di risorse da riconoscere a ciascuno in quanto esiste, e non per poter esistere.

C'è pure l'Appello Europeo per una cittadinanza ed un economia plurale (Aecep), segnatamente con la proposta, di un Rmi (Reddito minimo d'inserimento) bis <a bassa condizionalità>, o con l'idea, che esporremo nel seguito, di una base minima di diritti non legati al lavoro. Esiste anche la rete europea del Basic Income European Network.

I sostenitori di questa formula ritengono che la capacità produttiva di una società sia il risultato di tutto il sapere scientifico e tecnico accumulato dalle generazioni passate. Di conseguenza, i frutti di questo patrimonio comune devono andare a beneficio di tutti gli individui sotto forma di un reddito di base incondizionato .

Sul piano dell' efficienza redistributiva, renderebbe il sistema sociale più semplice e meno costoso da gestire oltre che meno stigmatizzante per gli assistiti, grazie alla soppressione dei controlli sui livelli di reddito, e più efficace nella lotta contro la povertà assoluta. Peraltro, questa formula si adatterebbe meglio alla realtà dell' instabilità familiare, in quanto sarebbe fondata su un diritto legato alla persona e non al nucleo familiare, analogamente all'imposta negativa o all' Rmi.

Sul versante del mercato del lavoro, questa formula ridurrebbe anche l'offerta di manodopera in quanto offrirebbe a ciascuno la possibilità di non lavorare, di lavorare meno o di lasciare temporaneamente o definitivamente la propria occupazione.

Secondo alcuni il reddito universale sarebbe "la migliore leva per ridistribuire il più largamente possibile sia il lavoro renumerato che le attività non renumerate.

La ripartizione delle responsabilità familiari e domestiche in seno alla famiglia sarebbe riequilibrata.

Dal momento che il posto di lavoro cesserebbe di essere l'unico fattore di integrazione, si aprirebbe la strada verso una società di piena attività, o di multiattività.

 

 

35 ore di Lavoro sono ancora troppe!

Si è scatenata la guerra sui giornali e nella poliica in seguito all' "azzardo rivoluzionario" delle leggi di Jospin in Francia e Bertinotti-Prodi (si sono anche baciati) in Italia per la riduzione di orario di lavoro.
Premettiamo che siamo perlomeno sollevati che il problema della disoccupazione viene affrontato verso la ridistribuzione del lavoro.
Gli imprenditori hanno incassato la presa d'atto che l'avanzamento tecnologico non deve portare profitti solo a loro ma in qualche termine anche ai lavoratori. Rimane aperto della distribuzione della ricchezza
A guardar bene se si dovesse ridurre l'orario di lavoro parallelamente all'aumento dell'automazione industriale, sarebbe ben al di sotto anche delle 30 ore alle soglie del 2000 e dovrebbe diminuire in maniera esponenziale.
Se vogliamo degli esempi esteri diciamo che nei paesi nordici ci sono le 32 ore settimanali per vaste categorie ed in Italia nei tessili ad esempio, settore per niente in crisi, si fanno orari dalle 30 alle 35 ore.
Le varie confindustrie europee si sono scatenate contro queste misure nonostante i sondaggi della gente sono nettamente favorevoli, queste non possono che essere indicatori positivi.
Per ultimo diciamo che la riduzione dei tempi di lavoro non può che liberare l'essere umano a dedicarsi alla vita sociale e si guadagnerebbe sopratutto in salute.

Cobas dappertutto ?!?

Stanno sorgendo dappertutto comitati sindacali spontanei, locali e non, dagli allevatori della guerra del latte a quelli delle fabbriche in crisi, dai professori e studenti ai controllori di volo e via dicendo.
Si sentono nominare decine di sigle sindacali quali: Rdb, Sdb, CobasScuola, Cub, Slai Cobas, Sin Cobas, Comu, Sanga, Arca, Cobas dei vigili, Cobas del latte, Sinpa.
Cosa rappresentano precisamente tutte queste sigle che spesso la stampa liquida con l’espressione “sindacati autonomi” o “extraconfederali? Hanno qualcosa in comune tra loro ?
Non c’è concretamente nessun legame organizzativo fra tutte queste realtà sindacali che nell’insieme raccolgono una fetta di adesioni e di consenso tale da minacciare considerevolmente il monopolio sindacale di Cgil-Cisl-Uil.
Queste realtà hanno tuttavia in comune la caratteristica di essere organizzazioni non burocratiche sorte dalle iniziative spontanee di lavoratori e delegati sindacali allo scopo di supplire al vuoto e alla mancanza di mobilitazione reale da parte di Cgil-Cisl-Uil.
In realtà non ci sarebbe soltanto il bisogno di colmare il vuoto di presenza sindacale nella società e sul posto di lavoro ma anche un enorme problema di rappresentanza che si ripercuote anche in ambito istituzionale.
Tutte le riforme rilevanti subiscono il veto dei sindacati confederali come quelle delle pensioni, della riduzione dell’orario di lavoro a 35 ore o quelle riguardanti il cosidetto “pacchetto Treu” per l’occupazione il quale sancisce il lavoro in affitto.
Sembra che tutto il mondo del lavoro e l’intero stato sociale siano rappresentati dai tre uomini alla guida di Cgil-Cisl-Uil anche se gli ultimi avvenimenti sembrerebbero indicare appunto una nettta delegittimazione di tale potere di rappresentanza. E’ sufficiente osservare in proposito la perdita costante di tesseramenti e il calo di consensi ottenuto alle ultime elezioni dei delegati sindacali (sopratutto dove si trovano a competere con altre sigle). In altre parole, i sindacati confederali raccolgono il consenso di una minima parte della società. Ecco allora spiegate le ragioni dell’emergere, a macchia di leopardo in tutto il paese, di strutture sindacali di base aventi spesso la sigla “Cobas” come comune denominatore con l’intento di organizzare risposte concrete alle rivendicazioni mai tutelate dai sindacati confederali.

Per far fronte al proliferare massiccio di questi comitati non-controllati e non controllabili, ecco allora che Governo, Conferali e Confindustria approntano come prima misura la legge “Bassanini”.
Questa nuova legge dispone per ora che, nel pubblico impiego, se un sindacato non raccoglie almeno il 5% della categoria in almeno tre regioni, non può neppure accedere alla contrattazione locale. La legge inoltre dispone che se il sindacato non è presente presso almeno due categorie, sempre con la quota del 5% e col criterio delle tre regioni, non avrà diritto a prendere parte alle discussioni sul comparto pubblico complessivo, ne nazionale ne locale.
Queste disposizioni lasciano dunque intendere che avrà rilevanza solo e soltanto il “pachetto tessere” mentre la mobilitazione reale dei lavoratori non avrà nessuna forza contrattuale concreta. Si tratta in pratica della logica del maggioritario applicata anche alle relazioni sindacali.
I lavoratori parteciperebbero alla vita sindacale soltanto attraverso la delega (e cioè una volta per sempre, in quanto sussiste ancora la regola del rinnovo automatico nonostante i referendum del ‘95 che l'hanno bocciata). Per il resto, a livello locale e nazionale, ci penseranno gli apparati sindacali più o meno ufficiali con la loro delega in bianco a gestire burocraticamente le trattative, insieme alla Confindustria i cui rappresentanti sono ben felici di non avere la presenza di rappresentanze autonome.
Facendo un pò di calcoli, su 15 milioni di lavoratori dipendenti, solo i sindacati con 750.000 iscritti potranno accedere alla "democrazia sindacale". Anche se la percentuale verrà calcolata sulla sola quota sindacalizzata , pochi saranno i cambiamenti perchè bisognerebbe organizzare la bellezza di 400.000 lavoratori.
Si è verificato in varie occasioni un ampio schieramento unitario che abbraccia tutte le reltà dell'autorganizzazione e del sindacalismo di base.
Evidente la spinta delle masse lavoratrici verso la ricerca di nuove rappresentanze sindacali oltre che verso un sindacato di tipo nuovo che tanti identificano appunto con il termine "Cobas".
L'arcipelago Cobas, i cosiddetti "extraconfederali", hanno effetivamente il limite della frantumazione. Agli occhi dei lavoratori e anche di fronte alla logica del buon senso, non si tratta di un limite da poco. C'è dunque in campo il progetto di un "Patto Federativo Intercategoriale". Tale proposta, attualmente in discussione in tutte le organizzazioni di base, ha il pregio di non richiedere modifiche all’impostazione delle rivendicazione portate avanti dalle singole strutture di base che aderiscono al Patto Federativo.
E’ bene sapere che la legge Bassanini e altri provvedimenti generali già allo studio, hanno il fermo obbiettivo di cancellare queste realtà.

Gli orrori della Globalizzazione

Riteniamo importante ricordare perlomeno la situazione che si stàvivendo oggi durante la 'globalizzazione' planetaria, così pubblichiamodegli stralci tratti dalle ricerche fatte da autorevoli fonti :

Sul pianeta Terra ci sono cinque miliardi di esseri umani. In esso solo 500 milioni vivono comodi, mentre quattro miliardi e mezzo di esseri umani soffrono la povertà e cercano il modo di sopravvivere.

I patrimoni delle 358 persone più ricche al mondo (in miliardi di dollari) è superiore al reddito annuale del 45% degli abitanti più poveri, qualcosa come due miliardi e 600 milioni di persone.
La cifra degli affari della General Motors è più elevata del Prodotto Interno Lordo della Danimarca, quella della Ford è più grande del Pil dell'Africa del Sud, e quella della Toyota oltrepassa il Pil della Norvegia.

Nelle cosidette 'economie capitaliste avanzate' il numero dei disoccupati arriva già a 41 milioni di persone.

Il fatturato delle 200 imprese più importanti del pianeta rappresenta più di un quarto dell'attività economica mondiale; e ciononostante queste 200 multinazionali impiegano solo 18,8 milioni di salariati, ossia meno dello 0,75 % della manodopera del pianeta.

Negli Usa, l' 1% dei nordamericani più ricchi ha incamerato il 61,1% dell'insieme della ricchezza nazionale del paese, tra l'83 e l'89. L' 80 % dei nordamericani più poveri non si sono divisi che l'1,2 per cento.

In Gran Bretagna il numero dei senzatetto è raddoppiato; il numero dei bambini che vivono solo con gli aiuti sociali è passato dal 7% nel '79 al 26% nel '94; il numero degli Inglesi che vivono nella povertà è passata da 5 milioni a 13 milioni e 700 mila (fonti Lmd aprile 97).

Negli ultimi trent'anni il numero di occupati nel manifatturiero negli Stati Uniti si è ridotto dal 33% al 17% dell'occupazione totale, mentre le imprese americane hanno continuato ad aumentare produzione e potere di mercato.35 milioni di senza lavoro nei ricchi paesi dell'OCSE.
 Fonti :

  • Hans Peter Martin/Herald Schuman del giornale 'Der Speigel' tedesco, dal libro "la trappola della globalizzazione' ed. Raetia
  • F. Clairmont "le duecento società che controllano il mondo"( Lmd, 97)
  • Ignacio Ramonet, Le Monde Diplomatique
  • V. Forrester autrice del best-seller mondiale 'l'Orrore economico'.
  • Jeremy Rifkin - Presidente della foundation of Economic Trends di Washington Autore di 'La fine del lavoro' (in Italia edito da Baldini&Castoldi).

"Disoccupati di tutto il mondo … "

sulle piazze, sui giornali e nelle statistiche.

I disoccupati e gli esclusi incominciano finalmante ad organizzarsi e a diventare un soggetto vivo e rumoroso.

Già da mesi in Francia con il movimento chiamato "AC! (Agir contre le chomage! – Agire contro l’esclusione)" manifestano, occupano gli uffici di collocamento. In una battaglia di valore civile molto alto e con il consenso dell’opinione pubblica costringono Governo e sindacati a dover prendere provvedimenti come l’aumento del sussidio di disoccupazione ( che in Italia non esiste nemmeno) e a dover prendere misure concrete come la detassazione di alcuni servizi pubblici.

Anche in Germania ed in Inghilterra si verificano grosse iniziative di fronte ai rispettivi uffici di collocamento, ma anche a Roma e a Napoli muovono i primi passi per attirare su di loro l’attenzione.

A Roma ad esempio intervengono durante spettacoli o manifestazioni varie con delle tute bianche e cappucci bianchi a rappresentare la loro condizione di persone senza volto e senza identità e chiedono agevolazioni per i trasporti pubblici o riduzioni per per l’istruzione e la formazione.

L’area sociale dei disoccupati, dei precari e delle persone che vivono sotto il livello di povertà stà forse uscendo da quello stato di indifferenza subito da parte della società ?

Riportiamo un po’ di dati estratti da giornali e dai censimenti:

Indagine Censis, Marzo ’98 : In Italia negli anni Novanta i poveri sono aumentati fino a toccare il 15% circa del totale. Gran Bretagna raggiunge nella corsa il 20 % e gli Stati Uniti il 25 %, questi ultimi sono i modelli economici guida del Neoliberismo.

Indagine Istat, Febbraio ‘98: Milano con il 7,6 % di tasso di disoccupazione è la provincia in Lombardia con il dato più alto.

Censimento di Milano ’91 (il più recente, purtroppo): Nella nostra zona (Zona 5 di Milano) gli occupati sono 41.5% ; i disoccupati 2.2% e le persone in cerca di prima occupazione sono il 2.0%.

Sempre dal rapporto dell’istutito CNEL di questi giorni apprendiamo che :
Il 21% delle famiglie lombarde sono a "elevato rischio" di povertà, il 18,5% di instabilità lavorativa; l'11,7% a elevato rischio abitativo, l'11,8% con un cattivo stato di salute dei loro componenti; il 26,6% a forte rischio di esclusione sociale.

Per utilità indichiamo qui di seguito l’indirizzo dell ‘ Ufficio di Collocamento di Milano : Via Lepetit n ‘ 8 , fermata MM2 - Stazione Centrale.